«Il mare è un buco», Elfriede Jelinek e «Die schweigende Mehrheit/La maggioranza silenziosa»

Gabriele C. Pfeiffer (traduzione Lorenza Castellan)

Abstract

„Das Meer ist ein Loch“1, schreibt die österreichische Literaturnobelpreisträgerin Elfriede Jelinek in einem ihrer wortgewandten und wortgewaltigen Texte. In diesem Beitrag geht es um „dieses Meer als Loch“, ein Meer, das Menschen „harte Lose“ ziehen lässt. Mit Hilfe von Elfriede Jelinek und dem Künstler_innenkollektiv Die schweigende Mehrheit wird dieser Thematik in drei Etappen nachgegangen: Erstens wird der politische Protest, der ausschlaggebend für Jelineks Text war, der sogenannte Refugee Protest Camp Vienna kurz in seinen verschiedenen Phasen, Orten und Strategien vorstellt. Zweitens wird auf Jelineks Text Die Schutzbefohlenen, der in seiner Dramatik die Diskursivität des politischen Subjekts dokumentiert, hinsichtlich seiner Inszenierungsmöglichkeiten auf der Bühne eingegangen. Und drittens schließlich kann eine Bühnenumsetzung genauer präsentiert werden, jene der Schweigenden Mehrheit. Mit dem Titel Schutzbefohlene performen Jelineks Schutzbefohlene spielt, oder besser: performt das Kollektiv, abseits des Burgtheater-Ensembles und unbeeindruckt von einer mitunter akademisch geführten Diskussion, ob Geflüchtete sich selbst darstellen können oder sollen, Elfriede Jelineks Die Schutzbefohlenen. (Eine deutsche Fassung dieses Artikels ist in Vorbereitung.)

 

L’orizzonte scompare, finisce nella montagna, il mare è un buco, un abisso, una voragine, qui non c’è più nessuno, lì non c’è più nessuno, solo io mi trovo qui e non lì, ma qui, solo con i miei ricordi, sono tutti morti, sono morti altrove, ma morti, io sono l’ultimo, un destino crudele, ascoltate il mio lamento, mi è toccata la sorte più triste1.

Refugee Protest Camp Vienna

«Il mare è un buco»2, scrive Elfriede Jelinek premio Nobel per la letteratura in uno dei suoi testi più eloquenti e più forti, un monologo, forse. Lo recita un profugo, allora sì, probabilmente un monologo. O forse lo scrive? «[…] non posso cercare adesso, non ho tempo, devo scrivere […]»3. Quella che scrive nel nostro mondo reale è indubbiamente l’autrice Elfriede Jelinek, ma nel nostro mondo immaginato a chi presta la sua voce? Chi è quello o chi sono quelli del suo testo dal titolo Die Schutzbefohlenen / I rifugiati coatti4? È un testo che – come spiega la stessa Jelinek alla fine – si rifà alla tragedia Le supplici5 di Eschilo, alla brochure intitolata Convivere in Austria del Ministero degli interni austriaco (Zusammenleben in Österreich)6 e alle Metamorfosi di Ovidio con un «pizzico di Heidegger», che come dice Jelinek «è necessario, perché non posso fare tutto da sola»7.

Lo spunto per il testo Die Schutzbefohlenen scritto nel 2013 e successivamente più volte attualizzato è stato il Refugee Protest Camp Vienna fondato da rifugiati nel novembre dell’anno precedente davanti alla chiesa votiva (Votivkirche) di Vienna e i fatti precedentemente incorsi nonché le condizioni dei rifugiati stessi, i refugees, in Austria. Partito da una marcia di protesta a piedi da un centro di accoglienza a circa 30 km da Vienna il Camp è stato eretto davanti alla chiesa a fianco del parco Sigmund Freud, proprio accanto all’Università di Vienna. Si protestava contro le condizioni discriminanti dei rifugiati in Austria, contro la «protezione sussidiaria precaria e priva di regolamentazione», «l’abrogazione graduale del diritto d’asilo che porta al rifiuto della mobilità e della libertà di movimento come [già] divenuto manifesto nella Convenzione di Dublino»8. Al centro della protesta un centro di accoglienza notoriamente sovraffollato, il rifiuto di accoglienza e trasferimento da parte degli altri Länder dell’Austria, l’assistenza sanitaria carente e la mancanza di sufficiente traduzione nonché la rivendicazione del diritto al lavoro. «All’interno della cosiddetta ‘democrazia sviluppata’ dell’Europa loro [i rifugiati] rivendicavano il fondamentale ‘diritto ad avere diritti’ formulato già negli anni ’70 del secolo scorso da Hannah Arendt,» scrive Petja Dimitrova e aggiunge: «‘il diritto ad avere diritti’ viene e deve venir rivendicato dagli esseri umani che a causa dell’attuale politica migratoria europea vedono ridotto il loro diritto alla vita alla loro pura sopravvivenza»9.

La protesta, in breve, consisteva in diverse fasi, luoghi e strategie: prima la marcia stessa, alla quale parteciparono centinaia di profughi (e migranti e rifugiati) e di attivisti politici iniziata a ridosso della protesta di migranti somali davanti al Parlamento a Vienna durata tre giorni,10 poi il Protest Camp davanti alla chiesa. Infine la decisione del gruppo di profughi e attivisti, dopo l’evacuazione da parte della polizia, «di cercare asilo nella chiesa votiva poco prima di Natale con l’iscrizione: ‘Jesus was an asylum seeker too’»11 (Anche Gesù cercava asilo) come riporta Gin Müller. Dopo due mesi di trattative, conferenze stampa e due scioperi della fame i profughi e rifugiati hanno trovato «con l’intermediazione della Caritas e della Chiesa, un rifugio temporaneo in convento»12. Come conclude Dimitrova, il Refugee Protest Camp Vienna ha infine «promosso i profughi a soggetti politici nel dibattito, esigendo dalla maggioranza della società una presa di posizione politica radicale»13.

Die Schutzbefohlenen di Elfriede Jelinek

Il testo Die Schutzbefohlenen della Jelinek ci racconta, documenta nella sua drammaticità la discorsività del soggetto politico che si presenta senza chiedere permesso agli occhi della maggioranza bianca. Il testo sputa per così dire il rospo, esternando verità scomode sulla situazione in Austria e racconta di esseri umani che sono approdati alle nostre rive, nonostante l’Austria non abbia più accesso al mare, che sono scesi a terra e chiedono asilo, chiedono aiuto. Jelinek li fa pregare nella chiesa votiva, pregare un Dio che non è il loro: «Dio La prego, ci aiuti, il nostro piede ha toccato la Sua riva, il nostro piede ha toccato, se aveva fortuna, ben altre rive, ma adesso? Quasi il mare ci ha sopraffatti, quasi ci avrebbero sopraffatti i monti, adesso siamo in questa chiesa, domani saremo in quel convento.»14 La lunga strada fino al convento ha portato i refugees, per i quali qui si intercede, da zone di crisi (dal nostro punto di vista lontane) attraverso mare, deserto, monti fino all’Austria, se il mare ‘non li ha sopraffatti’. Perché la verità è che non sempre arrivano tutti.

Molti non arrivano, gli oppressi scendono come acqua dagli scogli, sulle rocce, dalla montagna, attraverso il mare, sul mare, nel mare, sempre gettati, sempre di fretta, nuotano per anni, annegano, precipitano, soffocano in camion frigorifero, muoiono tra i tiranti degli aerei, scivolano nel gabinetto dell’autostrada, cadono dal balcone, sì, gente come noi!, sono tutti come noi! i più precipitano in un destino incerto15.

A questo punto dal testo si affaccia la voce della Jelinek vale a dire la “nostra” prospettiva, il “nostro” sapere. E con questo si realizza il cambiamento di prospettiva nella narrazione benché l’esordio della frase sia quello del profugo. È difficile identificare chiaramente la linea di demarcazione, essa non è mai netta e questo scambio si realizza più volte nel testo: «[…] non ho voglia di andare a controllare, nel mio caso controllano gli altri, sì proprio quelli dai quali si ottiene il diritto di residenza o l’applicazione del diritto nazionale […]”16. Spesso questo “io” della Jelinek o anche l’ “io” del profugo narrante compare insieme alla critica a naturalizzazioni privilegiate oppure è un gioco crudele con un “io” di un non-si-sa-chi: «[…] adesso non so come si chiama la signora, credo Europa, no, no, io, l’Io del meridionale, per cui io, semplicemente io, ma non è sufficiente, il mio nome a me tanto caro non è sufficiente. Povera me, dice, fermata e ingravidata […]»17. La linea di demarcazione rimane sfocata, oscure le catene di parole e le associazioni di parole della Jelinek. Una cosa però è chiara, che gli eventi qui evocati non nascono dalla finzione, dall’immaginazione o dalla fantasia jelinekiane. È pura realtà (austriaca) quella che si presenta sulla carta, concentrata in un testo poetico crudele, che fa parlare persone che sono scappate e hanno superato frontiere e limiti, sono scampate alla traversata e (presumibilmente) arrivate: «Siamo venuti, ma non siamo arrivati»18, scrive Jelinek. Non appena i refugees hanno trovato il loro posto davanti alla chiesa votiva, hanno piantato il loro camp, sono riusciti ad attirare l’attenzione, alzato le loro voci, innalzato i loro manifesti, trovato alleati, subito si è detto «è vietato sdraiarsi, rovina l’erba, rovina anche l’acqua, se ce ne fosse, rovina il mare se ci fosse qui, ma se ne guarda bene!»19. In Austria non c’è mare, nè Mediterraneo nè Atlantico, nè Pacifico, neanche pacifistico. Non servono le occhiate rozze, l’osservare, lo squadrare muto, il mare non arriverà e il mare di persone deve sparire, via dall’Austria.

[…] guardavano meravigliati le persone, il prodigio. Questo il giorno d’oggi gli uomini non lo fanno più, ma squadrare sì, lo fanno ancora, tranquillamente, perché accanto a loro siede il dio atlantico, no, non l’Atlantico, non abbiamo bisogno di un mare così grande, uno piccolo ci basta! È ampiamente sufficiente per noi tutti, promette questo dio e li protegge, con i suoi discorsi ferma il giorno e ci tiene lontana la vita. Vogliono che andiamo via? Prego, subito! Fuori20.

Non importa da quale parte si osserva, soli e abbandonati da tutti, dopo aver lasciato tutto alle proprie spalle i profughi rimembrano, pensano al loro passato, descrivono il loro presente europeo/austriaco e guardano appena al futuro. Quando si affaccia il ricordo dei loro cari nel monologo troviamo: «solo con i miei ricordi, sono tutti morti, sono morti altrove, ma morti, io sono l’ultimo, un destino crudele, ascoltate il mio lamento, mi è toccata la sorte più triste»21. E che cosa rimembra ancora? Le onde, le masse di acqua attraverso le quali lui anzi loro sono venuti, ma non tutti, non tutti ce l’hanno fatta. «Sul mare non si ha bisogno di un navigatore GPS, lì nessuno se ne intende, neanche la macchina, anzi sì, le macchine se ne intendono! Sennò nessuno, il mare è troppo grande per Lei? Ha provato, ma era troppo grande per Lei? Ma questo glielo potevamo dire anche subito»22. Ma quelli che sono arrivati a riva ricordano, il mare e senza navigatore, si sono arresi al mare, si sono fatti rimorchiare, se fosse stato necessario fin giù in fondo al mare.

Il mare non ha un colino per il nostro essere, nessun crivello ci salva quando dobbiamo colare a picco, non ci sono grate sugli scarichi, semplicemente defluiamo, così, senza alternative; dopo di noi il mare torna uguale finché arrivano i prossimi, uguale e calmo, con le sue onde tirabaci, no, non voglio dire adesso che ci ha attratti per farci finire nelle sue onde, sarebbe troppo gretto, sarebbe troppo opportuno e troppo gretto, anche se non c’è alternativa al gretto per me, per noi non c’è da tempo, non c’è mai stata, ma fa lo stesso!23

Colui che è sopravvissuto, che sopravvive ancora e parla o scrive qui con la voce di Jelinek vede tutto chiaramente. Spesso costui, che Jelinek fa parlare in rappresentanza dei sopravvissuti, che racconta la propria storia, la cui famiglia è morta, due suoi cugini sono stati decapitati davanti alle telecamere, racconta più storie. Lui è molti, è uno di molti. Ma non è uno che sarà naturalizzato in direttissima come le due donne russe, la figlia di Jelzin e la famosa cantante24: «Lo giuro, adesso è una Sua cittadina, sarebbe sicuramente venuta […] è già diventata una delle Sue, pronta a intervenire, a intervenirLa, se proprio anche in questa chiesa, proprio come la stupenda, perseverante, accordata cantante, […] sì, una di quelle che non ha bisogno di donare la sua voce avendo già lei stessa il dono della voce»25. La voce narrante allora non appartiene a uno di quelli che non sono mai stati esposti al pericolo, non è quella che «[…] non deve annegare in mare come noi, la cara, la benevola!»26. Questa voce è parte del Noi, quelli che sono stati esposti al pericolo e ora sono nella chiesa votiva, che si alzano per rivendicare i propri diritti, è una che dovrà andare a stare in convento, venuta dal mare, che per il proprio io instaura una lotta posttraumatica per non cadere nel vuoto. Quello che qui parla è uno che prende in mano la sua voce, che parla per sé nella conferenza stampa, che fa le sue proprie esperienze, ma che deve appoggiarsi alla solidarietà degli altri:

Abbiamo scelto una chiesa, ma poi è stato il convento a scegliere noi, bene, adesso ci abitiamo veramente, può venire a vedere se vuole, be`, potremmo benissimo vivere anche da un’altra parte, potremmo scegliere. Possiamo vivere in fondo al mare, in acqua, nel deserto, tanto per cambiare senz’acqua, le nostre esperienze ci saranno recapitate per tempo, in modo da averle già a disposizione quando le facciamo, e così sono diventate inutili27.

Con tecniche di teatro artigianale postdrammatico e strategie di superamento testuali della Jelinek i registi di teatro di lingua tedesca mettono svariatamente mano e in scena questo particolare profugo. Lo moltiplicano dandogli molteplici voci, e con ciò interpreti, e così facendo riaccendono la discussione intorno alla presenza di profughi, migranti, rifugiati sul palcoscenico. È legittimo far recitare questo testo ad attori e attrici europei? O non è invece sfruttamento ed esoticità mandare profughi, migranti, rifugiati sul palcoscenico28? O dovrebbero andare sul palcoscenico attori e attrici extraeuropei con esperienza di rifugiati? Nel numero del marzo 2016 della rivista di teatro tedesca “Theater heute” (Teatro oggi) troviamo una «breve guida all’arte politicamente impegnata» che raccoglie dieci punti per artisti e artiste che vogliono lavorare con i rifugiati29. Al centro di accese discussioni e realizzate in maniera tra loro molto differente, vi si trovano ad esempio rappresentazioni della prima della lettura nella chiesa di San Pauli ad Amburgo il 21 settembre 2013, la prima al teatro Thalia di Amburgo il 12 settembre 2014 con la regia di Nicolas Stemann,30 per arrivare alla rappresentazione al Burgtheater di Vienna, con la prima del 28 marzo 2012 e la regia di Michael Thalheimer, la quale dà già una visuale retrospettiva degli eventi e le ripercussioni del Refugee Protest Camp31. La messa in scena al Burgtheater rinuncia volutamente a mettere in scena i profughi, fa scivolare nell’artificioso il testo jelinekiano più radicalmente di quando lo imponga il testo stesso, lo sospinge nell’acqua facendolo efficacemente apparire brutale. Realistica la realizzazione acustica con l’allestimento formato da una vasca su tutta la scena contenente acqua alta fino alle ginocchia, questa avvolta nel nero con un cono di luce sullo sfondo che alla fine si trasforma in croce, attraverso la quale gli attori cadono per poi ininterrottamente:

passare a guado una scena piena d’acqua […] lasciarsi cadere, giacere. ‘Arrivano i morti’ come spiega artisticamente e provocatoriamente il Zentrum für Politische Schönheit nelle sue azioni di teatro politiche – e rompe un tabù: parlare di cifre e di come si trattano i morti, per lo meno quelli che il mare porta e riversa sulla spiaggia. Se ne conosce solo una piccola parte: solo alcune delle tragedie dalle conseguenze catastrofiche accadute davanti a Lampedusa sono state documentate, ma non tutte32.

Nel 2015 un drastico sviluppo degli eventi in Austria ha costretto la Jelinek a rielaborare più volte il suo testo. Già nell’autunno del 2013, anno in cui ha visto la luce il suo testo Die Schutzbefohlenen, era seguita alla prima una seconda versione, in risposta alla tragedia davanti a Lampedusa nella quale circa 300 profughi in fuga avevano perso la vita in mare. «La sospensione del progetto Mare Nostrum della guardia costiera italiana ovvero la sostituzione dello stesso con il programma ‘Triton’ voluto da Frontex l’hanno portata a intraprendere una nuova rielaborazione che sarebbe uscita nel novembre del 2013. Nel 2015 segue una quarta versione insieme a tre ulteriori testi che mettono sotto esame le discutibili risposte europee ai cosiddetti ‘flussi migratori’ comunemente definiti imprevedibili. Il progetto non sembra ancora concluso – nell’aprile 2016 è apparsa una nuova appendice de Die Schutzbefohlenen sul sito web dell’autrice»33.

«Schutzbefohlene performano Schutzbefohlene di Jelinek»

A Vienna, oltre all’ensemble del Burgtheater e lontano da una discussione talvolta accademica, apolitica se i profughi, i migranti o i refugees possano o debbano interpretare sè stessi, un collettivo artistico recita, o meglio, performa Die Schutzbefohlenen di Elfriede Jelinek in una versione in continuo adattamento, intitolata Die schweigende Mehrheit / La Maggioranza silenziosa34. Il collettivo di artisti e artiste prende la parola dal luglio del 2015 «in nome della maggioranza silenziosa, dà[!] il benvenuto alle persone che cercano protezione in Austria e protesta[!] contro l’insinuazione offensiva per la quale, noi, uomini e donne dell’Austria saremmo tutti razzisti»35.

In risposta alle condizioni disumane nel centro di accoglienza di Traiskirchen, alle cosiddette correnti migratorie in Europa e alla lunga estate della migrazione («[…] Uomini, moltitudini di uomini, La inondano, un vero mare, no, un mare non vero, un mare fino al mare, un mare nel mare, dove finiscono, dove finalmente finiscono, […]»36 come scrive la Jelinek) si sono poste in essere in luglio prime azioni artistiche iniziando con una veglia non-stop davanti alla Staatsoper, il teatro dell’opera di Vienna e una serie di altre attività. In agosto sono seguite messe in scena nelle zone pedonali di Vienna dal titolo Centri di accoglienza per profughi. Dalla fine di agosto 2015 il collettivo artistico ha iniziato un progetto in comune con i refugees di Traiskirchen, cittadini del Comune e attivisti. L’obiettivo era elaborare insieme una pièce teatrale – la continuazione del progetto sarà nel 2017 con «Traiskirchen – il musical», per il quale è già in corso il casting e un appello a quanti si trovano di qua o di là del recinto di Traiskirchen a raccontare le loro storie. Inoltre nella sua autodescrizione il collettivo riconosce «… ci sforziamo di mettere in ridicolo politici e amministratori statali che per paura della popolazione calpestano i diritti umani dei profughi e ci impegniamo in un servizio sostitutivo a quello ferroviario per i profughi»37 per concludere con una “professione di fede”:

Siamo convinti: la maggioranza silenziosa degli uomini ha più cuore e molto meno paura di quello che ci si vuole far credere. La maggioranza silenziosa dice SÌ! SÌ alla solidarietà con coloro che sono in una situazione di emergenza! SÌ ad un tetto sulla testa per tutti! SÌ ad una politica migratoria umana!38

Die schweigende Mehrheit elabora liberamente il progetto teatrale Die Schutzbefohlenen di Elfriede Jelinek e lo intitola «Schutzbefohlene performen Jelineks Schutzbefohlene» («Schutzbefohlene performano Schutzbefohlene di Jelinek»). Esso permette di mettere in scena quelli che ironicamente chiamano “profughi modello” che, come descrivono all’inizio non senza autoironia, imparano il tedesco per mezzo, o meglio, con la letteratura di un premio Nobel alla mano. Fanno ciò senza poter naturalmente arrivare a capire il senso delle parole che loro come coro ripetono alla stregua di pappagalli, facendo il verso a un «Sorvegliante ORS di Traiskirchen»39 (Bernhard Dechant), un “urlatore” rappresentante di una specie austriaca molto particolare. Le singole scene, frutto in parte di improvvisazioni, offrono agli attori lo spazio di esprimersi liberamente, di presentarsi, cosicché vengono percepiti per la loro bravura artistica nel teatro, nel canto e l’acrobatica e non solo per il loro essere profughi in un progetto sociale. A questo proposito l’attore Johnny Mhanna racconta: «Yes, at the moment everybody wants me to play a ‘Flüchtlingsrolle’ (la parte del profugo). Schutzbefohlene performen Jelineks Schutzbefohlene is something different in a positive way. They don’t want me to play just this role. It is not only theatre, it’s family.”40 (Sì, in questo momento tutti mi chiedono di recitare la parte del profugo. Schutzbefohlene performen Jelineks Schutzbefohlene è completamente diverso in senso positivo. Loro non mi chiedono di recitare solo quella parte. Non è soltanto teatro, è famiglia).

Natalie Assmann (attrice, artista e operatrice culturale nonché membro del collettivo artistico Die schweigende Mehrheit / La Maggioranza silenziosa) parlando del fare teatro insieme ai newcomer41, come loro stessi si definiscono, afferma che ciò rappresenta una vera e propria sfida. La sua esperienza le ha insegnato che è importante lavorare con persone che sono coscienti del fatto che il teatro offre spazio alla proiezione, coscienti del quadro in cui si lavora, persone che sanno di volerne superare i limiti consapevolmente, mai inconsapevolmente. «Se così non fosse» continua Assmann, «allora il pericolo di una strumentalizzazione di temi e persone diventa reale. Una tale forma è contraria ai principi che secondo me sono alla base del lavoro di teatro: sincerità assoluta nei confronti di sé stessi»42. In un’intervista Johnny Mhanna racconta come ha ottenuto il suo ruolo:

We met in Traiskirchen the day after. I went with him [Bernhard Dechant, un attore] to the rehearsal: It was my first rehearsal but it wasn’t the first rehearsal for Schutzbefohlene performen Jelineks Schutzbefohlene. […] The monologue I play tells the story when I was the first time at Schutzbefohlene performen Jelineks Schutzbefohlene rehearsal. I joined them when they were already rehearsing. There was a really big group of people and I was standing in the middle. Suddenly, when there was this scene with the circle, Bernhard asked me if I wanted to do an Interview. And I said yes! He asked me, ‘What do you do in your free time?’ I said ‘Acting’. And he said ‘ah, play something now!’ It was my first day, I knew nobody there just my cousin. I was standing in the middle of the circle and I wasn’t prepared for this … This monologue is one of my favorites. It’s Saadallah Wannous. I played it before and it’s always in my mind because I love it. (Johnny is citing the beginning of the monologue in Arabic, then he starts laughing.) I played the monologue and Tina [Leisch, la regista] and Bernhard liked it a lot and said: ‘We want to do the interview scene and the monologue in the play.’ Later, show after show and rehearsal after rehearsal, a lot of things changed. My monologue didn’t change but the questions between me and Bernhard changed. They developed – we developed the scene along the questions43.

Ci siamo incontrati il giorno dopo. Sono andato alla prova con lui [Bernhard Dechant, un attore]: è stata la prima volta per me ma non è stata la prima prova per Schutzbefohlene performen Jelineks Schutzbefohlene […] il monologo che recito io racconta la storia di quando io sono stato la prima volta con loro. Li ho raggiunti quando loro stavano già lavorando. C’era veramente un gruppo molto grande e mi trovavo nel bel mezzo. All’improvviso, quando c’era quella scena con il gruppo, Bernhard mi ha chiesto se io volevo fare un “interview” (colloquio). Io ho detto di sì! Quindi mi ha chiesto ‘che cosa stai facendo nel tempo libero?’ e io ho risposto ‘recitare’ e lui allora ‘ah – bene – recita allora!’ È stato il mio primo giorno, io non conoscevo nessuno tranne mio cugino, mi trovavo in mezzo al cerchio, non avevo preparato niente… il monologo è uno dei miei preferiti. È Saadallah Wannous. L’ho recitato già prima e l’ho sempre custodito nella mia mente perché lo adoro (Johnny cita l’inizio del monologo in arabo, dopo comincia a ridere). Ho recitato il monologo e a Tina [Leisch, la regista] e a Bernhard piaceva tantissimo e dicevano: ‘Vogliamo questo, vogliamo fare la scena dell’‘interview’ e il monologo.’ In seguito show dopo show e prova dopo prova tante cose sono cambiate. Il mio monologo invece no – solo le domande che Bernhard mi pone. Queste si sono sviluppate – e così abbiamo sviluppato la scena sul filo delle domande.

Le diverse scene nate dall’improvvisazione dei profughi, che siano essi attori o no, completano insieme ad altre il testo di Elfriede Jelinek, a sua volta adattato da una rappresentazione all’altra da Bernhard Dechant e Tina Leisch44. Non solo i profughi, migranti e refugees nella vita reale, anche quelli sul palcoscenico si osservano attentamente, così attentamente come fa la Jelinek che scrive appunto: «[…] noi però, a noi ci guardano, ci osservano, perché siamo colati tra le dita del mare, perché ci siamo spediti all’indirizzo sbagliato, dove non siamo mai arrivati, […]»45.


1Elfriede Jelinek, Die Schutzbefohlenen. Das Stück. Beilage zu “Theater heute”, Juli 2014, p. 4. Anche online sul sito web di Elfriede Jelinek Website “Theater | Theatertexte”, http://www.elfriedejelinek.com/ [07/08/2016]

2Ibid.

3Ivi, p. 15.

4Nel 2014 Luigi Reitani traduceva Die Schutzbefohlenen di Elfriede Jelinek, traduzione pubblicata nella rivista mensile Lo Straniero anno XIX, no. 180, giugno 2015, p. 122-129 con il titolo I rifugiati coatti. Tuttavia, a causa dell’attualità dovuta alle revisioni apportate dalla Jelinek, nel presente saggio le traduzioni delle citazioni sono state fatte ex novo.

5Aischylos, Die Schutzflehenden nella traduzione di Oskar Werner, in Aischylos, Tragödien und Fragmente, Tübingen, 1959 (3° edizione rivista e 1980), pp. 487-557 oppure Aischylos, Die Schutzsuchenden (ΙΚΕΤΔΕΣ) nella traduzione di Walther Kraus, in Aischylos, Die Tragödien, Stuttgart 2002, pp. 235-279.

6Ministero degli interni austriaco, Convivere in Austria. Valori che ci uniscono, anche online http://www.staatsbuergerschaft.gv.at/fileadmin/user_upload/Broschuere/RWR-Fibel.pdf [01/08/2016]

7Elfriede Jelinek, Die Schutzbefohlenen. Das Stück. Beilage zu “Theater heute”, Juli 2014, p. 19.

8Petja Dimitrova, Refugee Protest Camp Vienna. Kämpfe – Politiken – Bildproduktionen. Überlegungen zur Politik des Sehens, in Flucht Migration Theater. Dokumente und Positionen, hrsg. von Birgit Peter / Gabriele C. Pfeiffer, Wien / Mainz 2017, pp. 297-307, qui p. 299.

9Ivi, qui p. 297.

10Confronta la documentazione degli eventi sul sito online www.no-racism.net: “Chiediamo il riconoscimento dei profughi, la riunificazione familiare e la fine delle espulsioni di Dublino II”Appello” di profughi somali in occasione di una dimostrazione del 10 ottobre 2012 davanti al parlamento di Vienna e manifestazione permanente fino al 12 ottobre.” http://no-racism.net/article/4201 [07/08/2016]

11Gin Müller, Refugee-Protest im Spannungsfeld von Aktivismus, Institutionen und medialer Sichtbarkeit, in Kunst Theorie Aktivismus. Emanzipatorische Perspektiven auf Ungleichheit und Diskriminierung, hrsg. von Alexander Fleischmann / Doris Guth, Wien 2015, pp. 147–174. Cfr. inoltre Gin Müller, Grenzverletzer_innen und Performativität von Grenzen, in Flucht Migration Theater. Dokumente und Positionen, cit., pp. 29-43, qui p. 35.
“Jesus Was An Asylumseeker Too”, si veda il sito web Refugee Protest Camp Vienna, December 21, 2012, https://refugeecampvienna.noblogs.org/post/2012/12/21/jesus-was-an-asylumseeker-too/ [09/08/2016]

12Gin Müller, Refugee-Protest im Spannungsfeld von Aktivismus, Institutionen und medialer Sichtbarkeit, cit, pp. 147–174.

13Petja Dimitrova, Refugee Protest Camp Vienna. Kämpfe – Politiken – Bildproduktionen. Überlegungen zur Politik des Sehens, cit., pp. 297-307, qui p. 302.

14Elfriede Jelinek, Die Schutzbefohlenen, cit. p. 4.

15Ivi, p. 7.

16Ivi, p. 11.

17Ivi, p. 17.

18Ivi, p. 19.

19Ivi, p. 8.

20Ivi, p. 17.

21Ivi, p. 4.

22Ivi, p. 16.

23Ivi, p. 14.

24Qui come in altre occasioni la Jelinek si riferisce alle naturalizzazioni lampo di Anna Netrebko, cantante lirica, nel 2006 e di Tatjana Borissowna Jamschewa, figlia di Boris Jelzin nel 2009.

25Elfriede Jelinek, Die Schutzbefohlenen, cit., p. 14.

26Ivi, p. 10.

27Ivi, p. 16.

28Cfr. p.e. Julius Heinicke, Wie geht Darstellung ohne Zurschaustellung? Flüchtlingstheater in Südafrika und Deutschland, in “Theater heute. Die Theaterzeitschrift”, anno 56 / n. 2 / febbraio 2015, pp. 27-31.

29Tania Cañas, Zehn Punkte für KünstlerInnen, die mit Geflüchteten arbeiten wollen, in “Theater heute, Die Theaterzeitschrift”, anno 57 / n. 3 / marzo 2016, p. 39.

30Questa messa in scena è stata ospite del Theater der Welt a Mannheim nel 2014, del festival Holland Festival a Amsterdam nel 2014, del Theatertreffen a Berlino nel 2015, per l’apertura delle Mühlheimer Theatertage (giornate del teatro) a Mülheim nel 2015.

31Cfr. Lisa Rieger, We demand our rights! Was von den Refugee-Protesten blieb, nel programma di sala Die Schutzbefohlenen, Elfriede Jelinek, Österreichische Erstaufführung, Burgtheater, 28 marzo 2015, s.p.

32Silke Felber, Gabriele C. Pfeiffer, Schau-Plätze der Diskrepanz. Ein Essay zu Aischylos in Syrakus und Jelinek in Wien, in Flucht Migration Theater. Dokumente und Positionen, cit., pp. 377-385, qui p. 381. Nella nota c’è l’indicazione del “Zentrum für Politische Schönheit”, Die Toten kommen (it. Centro per la Bellezza Politica, Arrivano i morti) consultabile sul sito http://www.politicalbeauty.de/ [23/4/2016], «Il Zentrum für Politische Schönheit ha portato i migranti morti alle frontiere esterne dell’Europa nella centrale di controllo del regime europeo che li rifiuta: nella capitale tedesca. Esseri umani che nel loro viaggio verso una nuova vita sono morti annegati o di sete alle frontiere esterne dell’Unione Europea sono giunti alla destinazione dei loro sogni dopo la morte. Insieme ai congiunti abbiamo aperto tombe dignitose, esumato e identificato i morti e li abbiamo portati in Germania.” Sito web del Zentrums für Politische Schönheit http://www.politicalbeauty.de/toten.html [23/4/2016] nonché della statistica dell’opuscolo dell‘UNHCR. Mid-Year Trends 2015.

33Ivi, pp. 377-385, qui p. 379. Nella nota c’è l’indicazione per Frontex: “Frontex: acronimo del francese frontières extérieures, frontiere esterne; Agenzia europea per la gestione della cooperazione internazionale alle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione Europea” nonché il rimando all’appendice: Elfriede Jelinek, Die Schutzbefohlenen, appendice pubblicata in “Theater heute. Die Theaterzeitschrift”, Anno 56 / n. 11 / novembre 2015, pp. 36-43.

34A Milano “La Maggioranza silenziosa” fu un movimento politico negli anni Settanta. In Austria il gruppo è nato nell’anno 2015 in concomitanza con la crisi dei refugees con il nome “Die schweigende Mehrheit sagt Ja” (La Maggioranza silenziosa dice di Sì)

35Il collettivo “Die schweigende Mehrheit”, “über uns”, Website Die schweigende Mehrheit sagt JA, http://www.schweigendemehrheit.at/ueber-uns/ [07/08/2016]

36Elfriede Jelinek, Die Schutzbefohlenen, cit., p. 13.

37Il collettivo “Die schweigende Mehrheit”, “über uns”, Website Die schweigende Mehrheit sagt JA, http://www.schweigendemehrheit.at/ueber-uns/ [07/08/2016]

38Ibidem.

39L’assistenza dei rifugiati nei centri di accoglienza è stata nel frattempo affidata dal Ministero degli interni austriaco a operatori privati. Uno di questi è la ORS Service GmbH, una società svizzera – “un’impresa che si è specializzata nell’assistenza e sistemazione di richiedenti asilo […] ORS è partner competente del ministero degli interni e di diversi Länder, garantisce un’esecuzione efficiente e senza attriti al servizio dell’appaltante pubblico; sviluppa programmi flessibili ed efficaci che garantiscono un impiego efficiente responsabile dei fondi pubblici; è religiosamente e politicamente neutrale.” Website della Die ORS Service GmbH, http://www.orsservice.at/%C3%BCber-uns/ [08/08/2016]

40Theatre was my second home in Syria – here it is the only one. An interview with Johnny Mhanna on 31 May 2016 by Mirjam Berger and Corinne Besenius, in Flucht Migration Theater. Dokumente und Positionen, cit., pp. 113-135, qui p. 131.

41Anche Hannah Arendt nel 1943 preferisce il concetto di ‘newcomers’ ovvero ‘immigrants’: «In the first place, we don’t like to be called ‘refugees.’ We ourselves call each other ‘newcomers’ or ‘immigrants.’» Hannah Arendt, We Refugees, in “The Menorah Journal”, 1943, pp. 110-119, qui p. 110. Cfr. anche Giorgio Agamben, Al di là dei diritti dell’uomo, in Id, Mezzi senza fine, Note sulla politica, Torino 1996 (Tradotto in inglese da Michael Rocke, We Refugees, in “Symposium: a quarterly Journal in Modern Literatures” (49:2), Summer 1995, pp. 114-119.

42Natalie Ananda Assmann, Flucht vor dem Theater?! Beobachtungen in der künstlerischen Arbeit mit Geflüchteten, in Flucht Migration Theater. Dokumente und Positionen, cit., pp. 55-59, qui p. 59.

43“Theatre was my second home in Syria – here it is the only one.” An interview with Johnny Mhanna on 31 May 2016 by Mirjam Berger and Corinne Besenius, in Flucht Migration Theater. Dokumente und Positionen, cit., pp. 113-135, qui pp. 128-129.

44Ciò è necessario anche a causa di singoli episodi incorsi in occasione delle recite. Per esempio la serata della recita nell’aula magna dell’università di Vienna, il 14 aprile 2016, è stata disturbata e interrotta da un gruppo di radicali di destra e solo il coraggio dei singoli del collettivo artistico insieme alla solidarietà dei più di 700 presenti nel pubblico hanno permesso di portarla a termine. Per la recita successiva nel municipio di Vienna, dove il gruppo è stato invitato dopo i fatti, sono stati introdotti degli adattamenti con attori bodyguards equipaggiati con speciali slogan stampati sulla schiena.

45Elfriede Jelinek, Die Schutzbefohlenen, cit., p. 10.