Silvia Palermo
(Università degli Studi di Napoli L’Orientale )
spalermo@unior.it
Abstract
Über die armenische Frage und insbesondere über die Anerkennung des Massakers im Jahr 1915 als Völkermord hat es über 90 Jahre lange eine „ohrenbetäubende Stille“ gegeben. Unter den Stimmen, die sich in den letzten Jahrzehnten auf internationaler Ebene erhoben haben, um diese Stille zu brechen, ist auch die von Emine Sevgi Özdamar (*1946, Malatya [Türkei]), eine deutsche Autorin, Regisseurin und Schauspielerin türkischer Herkunft.
In Perikızı. Ein Traumspiel, ein von Özdamar konzipiertes und geschriebenes Theaterstück, das innerhalb des internationalen Projektes ‚Odyssee Europa’ im November 2010 im Ruhrgebiet zum ersten Mal aufgeführt wurde, findet man neben der Migration – dem roten Faden, der alle Werke Özdamars verbindet – auch die Erinnerung an den Ersten Weltkrieg und an den Völkermord an den Armeniern. Der Theatertext Perikızı, als solcher durch eine performative Sprache gekennzeichnet, bietet die Möglichkeit einer exemplarischen Reflexion über ihre Sprache und ihre Themen.
Metz Yeghern in armeno significa il “Grande Male” o il “grande crimine”. Con questo termine si definisce il massacro del popolo armeno che consistette, lo ricordiamo, in deportazioni e eliminazioni in modo sistematico a opera dell’impero ottomano.1 Tra il 1915 e il 1916 morirono circa un milione e mezzo di armeni. Inizialmente, nella notte fra il 23 e il 24 aprile, vennero eseguiti i primi arresti tra l’élite armena di Costantinopoli; l’operazione continuò nei giorni seguenti e in un solo mese più di mille intellettuali armeni, tra cui scrittori, giornalisti, uomini d’affari, dirigenti politici e persino delegati al Parlamento, cittadini dell’Impero ottomano, furono eliminati. Poi ci furono le deportazioni e i massacri di tutti gli altri uomini e quindi, a seguire, delle donne con bambini che furono incolonnate e costrette a marciare verso il deserto della Siria nella tragicamente nota ‘Marcia della Morte’.
Ventinove sono gli stati che sinora hanno riconosciuto il massacro degli armeni dell’aprile 1915 come ‘genocidio’.2 Fra di loro, il più importante riconoscimento negli ultimi anni è stato senz’altro quello della Germania il 2 giugno 2016 (secondo solo a quello di Papa Francesco il 24 aprile 2015). Il voto del Parlamento tedesco non è stato però unanime: si è proceduto con molta prudenza per evitare possibili (preannunciate) ripercussioni politiche.3
Anche se studi recenti sull’argomento considerano sempre meno rilevante la discussione terminologica attorno al termine “genocidio” e sempre più importante “la ricostruzione delle dinamiche, dei momenti di svolta, della trasmissione dei comandi, delle forme e modalità della loro implementazione, della diversità dei modi di manifestarsi della violenza pur nell’ambito di un progetto unitario basato sulla deportazione e massacri, su annientamento e assimilazione forzata”,4 le intimidazioni ricevute dal Papa o le minacce personali ricevute, ad esempio, da Cem Özdemir5 subito prima del voto in Germania, danno l’idea di quanto questo voto per il “riconoscimento del genocidio non sia solo una questione di memoria storica, ma anche un fatto politico che crea ancora oggi grandi tensioni, a più di un secolo di distanza”.6
Si può quindi affermare che sulla questione armena, e in particolare sul riconoscimento del massacro degli armeni del 1915 come genocidio, ci sia stato per oltre novanta anni quello che è stato definito un ‘silenzio assordante’.7
Di recente, a partire dal 2004, una serie di pubblicazioni e di avvenimenti hanno per così dire rotto questo silenzio, dando all’evento storico una risonanza nazionale e internazionale:
1. Il 6 febbraio 2004 il settimanale turco-armeno “Agos” pubblica il racconto di Hripsime Sebilciyan Gazalyan, armena originaria di Gaziantep, in cui veniva svelata la probabile origine armena di Sabiha Gökçen, celebre aviatrice, prima donna pilota turca e una degli otto figli adottivi del padre della patria Mustafa Kemal Atatürk. Sabiha Gökcen, l’eroina nazionale turca, era in realtà un’orfana armena adottata da una famiglia turca durante i massacri del 1915.
2. Nello stesso 2004 la pubblicazione in turco di Anneannem,8 scritto dall’avvocatessa turca Fethiye Çetin è pubblicato dalla casa editrice turca Metis. Nel libro vi è un meticoloso racconto degli eventi del 1915: il tragico esilio degli Armeni e la Marcia della Morte verso la Siria. Çetin presenta la toccante testimonianza di sua nonna che aveva assunto il nome di Seher, ma che in realtà si chiamava Heranush.9
3. Nel 2005 la condanna del giornalista e scrittore turco di etnia armena, nonché direttore del settimanale “Agos”, Hrant Dink, a sei mesi di carcere per gli articoli scritti sul genocidio armeno. Il giornalista viene condannato in base all’articolo 301 del codice penale turco che punisce ogni “offesa all’identità turca”, lasciando ampia discrezionalità ai giudici.10
4. Il 19 gennaio 2007 vede l’assassinio di matrice ultra-nazionalista proprio del giornalista Hrant Dink. Questa violenza suscitò reazioni inattese, a cominciare dal funerale della vittima cui parteciparono oltre duecentomila persone, per lo più giovani, che gridavano “io sono armeno” e “siamo tutti Hrant Dink”.
5. Nel 2009 ha luogo la pubblicazione del secondo libro dell’avvocatessa Çetin – Torunlar [Nipoti],11 scritto insieme alla studiosa Ayşe Altınay Gül – in cui le due autrici hanno raccolto le traumatizzanti storie, familiari e personali, di coloro che hanno scoperto di avere origini armene cristiane.12
È in questo quadro generale che desidero collocare, presentandolo, il testo teatrale Perikızı. Ein Traumspiel 13 (2010), in lingua tedesca, della scrittrice, drammaturga, attrice e regista teatrale Emine Sevgi Özdamar (Malatya, Turchia, *1946).14
L’opera Perikızı. Ein Traumspiel15 racconta le vicende avventurose di una giovane ragazza turca, Perikızı (in turco, ‘bambina delle fate’), decisa a lasciare la propria patria (la Turchia), la casa e la famiglia per dirigersi verso l’Europa civilizzata (rappresentata dalla Germania), simbolo di libertà e, per lei, di emancipazione.
Nella prima lunga scena Perikızı, “che ha perso la testa per il teatro”, viene presentata nel confronto diretto con i familiari che cercano invano a turno di convincerla a restare con loro e a non partire. Nelle dodici scene seguenti la giovane Perikızı intraprende invece il suo viaggio ricco di incontri con molteplici personaggi che appartengono sia al mondo dei vivi (ricordiamo, in particolare, le tre prostitute sul treno per l’Europa, i tre ciclopi detti “sensi di colpa”, i tre polli turchi, una civetta che fa da interprete, due minatori che recitano alcuni versi dell’Odissea nel dialetto della Ruhr, un Gastarbeiter, un barbone, un nano privo di senso dell’umorismo, due ragazze, il cantante Heino e altri), che al regno dei morti (un soldato della Prima Guerra Mondiale, due ragazze armene suicide, il poeta Hölderlin, il poeta Hansi e altri). Alla fine viene abbandonata l’ambientazione nell’Ade e vi è un ritorno alla prima scena e anche allo scambio iniziale di battute fra Perikızı e la nonna, come se tutto non fosse stato altro che un sogno profetico. Uno degli episodi più toccanti dell’opera è quello presente nella scena quinta e relativo alle due ragazze armene suicide, amiche d’infanzia della nonna. Su questo torneremo in seguito.
Va ricordato subito che i riferimenti ai soldati e alla guerra in generale sono sempre presenti nelle opere di Özdamar, sia in quelle narrative che in quelle teatrali. Va menzionato innanzitutto l’incipit del suo primo romanzo Das Leben ist eine Karawanserei hat zwei Türen aus einer kam ich rein aus der anderen ging ich raus16 [La vita è un caravanserraglio ha due porte da una entrai dall’altra uscii], ambientato in Anatolia negli anni successivi al 1946 e che termina con la partenza della protagonista per la Germania nei primi anni ’70. Qui c’è un riferimento ‘autobiografico’ alla Seconda Guerra Mondiale, poetico nello stile, che però resta vago nei dettagli:17
„ERST HABE ICH DIE SOLDATEN GESEHEN, ich stand da im Bauch meiner Mutter zwischen den Eisstangen, ich wollte mich festhalten und faßte an das Eis und rutsche, und landete auf demselben Platz, klopfte an die Wand, keiner hörte. Die Soldaten zogen ihre Mäntel aus, die bisher von 90.000 toten und noch nicht toten Soldaten getragen waren. Die Mäntel stanken nach 90.000 toten und noch nicht toten Soldaten und hingen schon am Haken. Ein Soldat sagte: „Mach für die schwangere Frau Platz!“ (p. 9).18
Sempre nel primo romanzo, la protagonista bambina, seguendo l’esempio della nonna, prega quotidianamente per i morti. Dopo aver appreso che nella Prima Guerra Mondiale c’erano stati quattro milioni di morti, decide di aggiungere anche i loro nomi alla sua preghiera ed è così che, ai nomi dei parenti morti aggiunge progressivamente quelli dei conoscenti, quelli degli attori dei film, e altri ancora, fino a quelli dei soldati morti nella Prima Guerra Mondiale. L’elenco dei nomi diventa così lunghissimo, prosegue per più pagine e si interrompe solo quando la protagonista si addormenta. L’elenco viene pronunciato dalla protagonista sotto forma di litania.19
Nel terzo romanzo, Seltsame Sterne starren zur Erde [Strane stelle fissano la terra], nel Diario, datato agosto 1977, la protagonista annotando la morte della nonna novantaseienne, segna un suo drammatico ricordo:
[…] Du hast so viele Tote gesehen. Auch die Armenier. Manchmal bist du aufgestanden und hast geschrien: „Wie sich die armenischen Mädchen von den Brücken gestürzt haben!“. Du hattest ihren Kindern Essen gebracht. Eine alte Armenierin lebte bei dir. Sie trug in ihren Taschen immer trockenes Brot bei sich. „Warum?“ fragtest du. „Damit ich nicht verhungere, wenn ich mich wieder in einer Höhle verstecken muß.“20
Così anche nel testo teatrale Perikızı. Ein Traumspiel: ci sono riferimenti alla Prima Guerra Mondiale, agli armeni e alla Marcia dei Morti degli armeni, ma in questo testo, come vedremo, a differenza di quelli presenti nei romanzi precedenti, i riferimenti sono numerosi, espliciti e precisi (e variamente legati alla figura della nonna).
Nella prima didascalia della prima scena, è lei a presentarsi in scena con dei giornali ingialliti del tempo della Prima Guerra Mondiale sotto al braccio:
Auftritt Großmutter. Unter ihrem Arm trägt sie / ein paar vergilbte Zeitungen aus dem Ersten Weltkrieg.21
Poche righe dopo viene introdotto il personaggio del giovane soldato turco che indossa un’uniforme della Prima Guerra Mondiale:
Ein junger türkischer Soldat in der Uniform aus dem Ersten Weltkrieg, seinen Kopf unter seinem Arm, geht mit seinem Esel über die Bühne und geht wieder ab.22
Dopo il primo lungo dialogo fra Perikızı e la nonna c’è una nuova didascalia che presenta due giovani donne armene che entrano in scena senza parlare, la attraversano ed escono. Per tutta la durata della loro presenza, la nonna sanguina dal naso. Questo avverrà, come vedremo, simbolicamente, nel corso di tutto il dramma:
Zwei junge Frauen, die armenischen Bräute, tauchen auf, mit Schürzen über ihren Kleidern wie um 1910, und gehen ab. Großmutter blutet plötzlich heftig aus der Nase.23
La didascalia introduce il primo lungo monologo della nonna in cui lei racconta chi siano le due giovane ragazze, di come abbiano sofferto e patito nella Marcia della Morte e di come abbiano scelto di porre fine alla loro vita gettandosi giù da un ponte.24
GROSSMUTTER Abooo, Aboooo. Wie die armenischen Bräute sich von den Brücken heruntergestürzt haben. Wie die armenischen Bräute sich von den Brücken heruntergestürzt haben. Gesehen haben sie mit ihren jungen Augen, die blind sein wollten, die Hölle und das Feuer auf dieser Erde, die Schürze noch über ihren Kleidern, barfuß, die Augen groß, die Hände groß, die Füße groß vom Totenmarsch, ihre Kinder als Skelette vor ihren Füßen, das Feuer, in dem sie lange liefen, liefen und liefen, war siebenmal heißer als das Höllenfeuer. Aber wohin gingen sie? Aber wohin sollten sie gehen? Zu welcher Hoffnung? Getrieben von den Bösen, die auf den Pferden saßen, die Schürze noch über ihren Kleidern.25
Sempre nella prima scena vi è un lungo monologo della nonna sulla guerra. Il passo riprende, ampliandolo sapientemente,26 un passo più breve presente nel secondo romanzo di Özdamar, Die Brücke vom Goldenen Horn27 [Il Ponte del Corno d’oro]. Le battute iniziali del monologo consentono però in questo caso di identificare con precisione il periodo storico:
GROSSMUTTER lacht […] Was weiß ich. Der Erste hatte so eine schöne Stimme, er ging in den Krieg, Bismarckkrieg nannten es die Großen, oder sagten sie Willemkrieg? Täglich scharten sich die Witwen in den Gassen, sie schrien: Das wenige Licht in unseren Augen wurde noch trüber, Fluch sei dem Manne, der uns verbannte in Höllenglut. Fluch sei dem Kaiser, dem Enver Pascha, der blutigste, dessen Schlangenzähne alle Mutterbrüste gebissen haben.28
Il tema della guerra ritorna poi prepotentemente nella quinta scena, quella centrale del dramma, in cui viene rappresentato il sogno di Perikızı. I genitori e la nonna, preoccupati per la figlia lontana in terra straniera, all’improvviso cadono in un sonno profondo. Entrano in scena il soldato della Prima Guerra Mondiale (che solo successivamente si scoprirà essere il nonno di Perikızı) e le due spose armene. Dapprima è il soldato che racconta la sua storia e riferisce di come all’epoca nessuno avesse capito perché un imperatore tedesco si fosse autoproclamato protettore dell’impero ottomano:
Der Soldat aus dem Ersten Weltkrieg mit seinem Esel und zwei armenischen Bräuten tritt auf
SOLDAT […] Gestorben sind wir auf Schlachtfeldern.
Das Leben ist kurz,
der Tod ist lang im Höllenhimmel.
Ich starb kurz nachdem ich meine brennende Zigarette
noch zwischen acht Männern geteilt hatte. Damals
hatte keiner verstanden, warum ein deutscher Kaiser
sich zum Beschützer des Osmanischen Reichs aufspielt.
Golz, Falkenheim, Sanders, Enver Pasha, Talat Pasha,
alle diese Narzissten, gefährliche Kriegsmaschinen,
spielten Hand in Hand mit dem Leben von Soldaten,
die Henning oder Ahmed gerufen wurden von ihren Müttern. Dort ist ein toter Henning, da ist ein toter Esel,
dort ist ein toter Ahmed. […]29
e subito dopo tocca alle giovani armene. Ma le ragazze armene non possono parlare, a loro non è permesso parlare: è già un’eternità che non è permesso loro di parlare (il verbo utilizzato da Özdamar non a caso è dürfen).30 Parleranno per loro allora gli alberi di fico che raccontano la triste storia e le barbarie subìte dalle donne, di cui loro sono gli unici testimoni. È in questo brano che la denuncia del massacro trova la sua formulazione più esplicita e il suo racconto più drammatico:
„O weh uns, ihr Verlorenen.
Ihr werdet nie wieder sehen eure Herdflamme in eurem Haus. Beraubt eurer Leben, schon eurer Schatten beraubt.
Nichts wird von euch, so melden wir euch, zu eurem Herd wiederkehren.
Jungfrauen, flehend fallen wie vor euch auf die Knie,
wir sehen mit diesen Augen, die blind sein wollen,
euren jammervollen Totenmarsch,
von dem ihr nie wieder zurückkehrt und nie wieder
unter unsere Schatten ewige Treue
eurem Schönsten versprecht.
Ja, Feigenbäume sind wir
Und strömen unser Gefühl in Tränen aus.
Ein unsagbares Unrecht wird euch geschehen,
wo ihr sogar als Tote nicht mehr sprechen könnt.
Ihr werdet dulden, lange, zu lange,
euer Tod ohne Gräber, ohne die Totenmusik,
die auf euren toten Haaren sich kurz niedersetzt.
Oh in welch Unglück stürzt ihr?
Ein Unrecht wird geschehen, so schnell,
nicht mal Tränen werden herabfallen
über eure hellen Wangen.
In den Flüssen, in waldigen Tälern,
über euch ein Mond, der selbst
seinen eigenen Tod treffen wollte,
anstatt euren Tod zu beleuchten. […]31
Va ribadito: Perikızı. Ein Traumspiel non è un testo sugli armeni e sul genocidio, come lo sono in modo esemplare, ad esempio, il romanzo di Franz Werfel Die vierzig Tage des Musa Dagh32 [1933] o i romanzi di Antonia Arslan, primo fra tutti, La masseria delle allodole.33 Non è neanche un testo di denuncia della guerra, ma è innegabile che i riferimenti espliciti alla Prima Guerra Mondiale, al genocidio, alla Marcia dei Morti (come abbiamo visto nell’ultimo lungo monologo), oltre ai numerosi dettagli sul popolo armeno (la nonna, ad esempio, racconta che le spose armene sapevano leggere e scrivere34 e che finché c’erano loro nel villaggio arrivavano giornali armeni, che dopo non arrivarono più), uniti all’intensità e alla centralità dei brani che ho presentato, in particolar modo gli ultimi due, presuppongano una conoscenza antica di quella realtà, accanto a una precisa scelta etica. Il racconto della nonna delle giovani armene presenta, inoltre, delle forti reminiscenze di una delle pubblicazioni alle quali si è fatto riferimento all’inizio, il libro Haranush mia nonna.
Il mio nome era Heranush. Mia madre si chiamava Isguhi, mio padre Hovannes. All’epoca era in America insieme ai miei due zii. Avevo due fratelli. Mio nonno lo chiamavano Hayrabed Efendi. Era un uomo molto stimato, non soltanto nel nostro paese ma anche nei villaggi vicini, e tutti venivano da lui per chiedergli consiglio. Il nostro paese era grande, c’erano tre muhtar.35 […] Mia madre non voleva che finissimo in fondo alla carovana degli esiliati, per questo camminava svelta e ci spronava perché stessimo al passo con la sua andatura. Spesso sentivamo dietro di noi grida, suppliche e pianti. Ogni lamento spingeva mia madre, che faceva di tutto per impedirci di guardare indietro, ad accelerare. La sera del primo giorno di marcia due mie zie ci raggiunsero correndo, piangevano e singhiozzavano. Dissero che dei gendarmi avevano ucciso con la baionetta un’altra zia, che non era in grado di camminare perché era ammalata, e che avevano lasciato il cadavere ai bordi della strada.36 […] Dopo aver attraversato il ponte di Maden, una volta giunti a Havler, mia nonna paterna gettò nel fiume le sue due nipoti, le figlie dei miei zii. Erano stati ammazzati anche loro, e le bambine non erano più in grado di camminare. Una delle piccole fu immediatamente inghiottita dalla corrente, mentre l’altra alzò la testa, cercando di riemergere. Mia nonna la spinse giù, la testa spuntò fuori un’altra volta, ma quella fu l’ultima volta che vide la luce del sole, perché mia nonna la spinse dentro di nuovo… Poi si gettò nel fiume che scorreva impetuoso, e scomparve.37
È come se la scrittrice avesse aggiunto ai suoi ricordi d’infanzia una nuova consapevolezza, che le viene dalla realtà contemporanea e che si esprime, ad esempio, apertamente nel suo breve racconto Bitteres Wasser [Acque amare] del 2009,38 dedicato al giornalista Hrant Dink appena assassinato.39 E se nei romanzi precedenti Özdamar non appare interessata alla rappresentazione realistica e puntuale degli eventi storici, quanto piuttosto a una raffigurazione letteraria della coscienza storica del suo tempo (si pensi all’incipit di Das Leben ist eine Karawanserei), i riferimenti alla guerra in Perikızı. Ein Traumspiel diventano esatti e accurati: ci sono nomi, date, elementi storici precisi, si parla esplicitamente della Marcia della Morte e del silenzio colpevole che ha regnato per tanti anni su questo tema. Il sangue dal naso della nonna che esce tutte le volte che in scena appaiono le due giovane armene (persino quando la nonna dorme) ne è un’espressione forte. Il grembiule sul vestito con cui vengono rappresentate le spose armene allude alla velocità con cui le armene furono strappate inopinatamente dalle loro case.
La bravura di Özdamar, e parlerei senz’altro anche di coraggio, sta nel trattare in Perikızı. Ein Traumspiel questi temi così drammatici alla sua maniera, inserendoli cioè all’interno di un testo che parla anche di altro: parla di migrazione, di accettazione dell’altro, di bisogno di emancipazione, di scontro generazionale, di amore per la famiglia, di rispetto per le tradizioni e soprattutto dell’argomento a lei più caro, dell’amore e della passione per il teatro di una ragazza turca che ama Brecht e il teatro tedesco.
Bibliografia primaria
Altinay, A. G., F. Çetin, Torunlar, Metis Yayincilik, Istanbul 2009.
Arslan, A., La masseria delle allodole, Rizzoli, Milano 2016 [2004].
Id.., La strada di Smirne, Rizzoli BUR, Milano 2010 [2009].
Id., Il rumore delle perle di legno, Rizzoli BUR, Milano 2016 [2015].
Id., Lettera a una ragazza in Turchia, Rizzoli, Milano 2016.
Çetin, F., Anneannem [2004]; trad. it. a cura di F. Beltrami, Heranush mia nonna, Alet, Padova 2011 [2007].
Özdamar, E. S.., Bitteres Wasser in K. Raabe / M. Sznajderman (Hrsg.), Odessa Transfer. Nachrichten vom Schwarzen Meer, Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main 2009, pp. 40-49.
Id., Das Leben ist eine Karawanserei hat zwei Türen aus einer kam ich rein aus der anderen ging ich raus [1992] in Sonne auf halbem Weg, Kiepenheuer & Witsch, Köln 2006, pp. 7-436.
Id., Die Brücke vom Goldenen Horn [1998] in Sonne auf halbem Weg, Kiepenheuer & Witsch, Köln 2006, pp. 437-810; trad. it. di U. Gandini, Il Ponte del Corno d’oro, Ponte alle Grazie, Firenze 2010.
Id., Perikızı. Ein Traumspiel in U.B. Carstensen, S. von Lieven (Hrsg.), Theater-Odyssee Europa, Aktuelle Stücke 20/10, Fischer Verlag, Frankfurt 2011, pp. 271-333.
Id., Perikızı. Ein Traumspiel / Perikızı. Un Sogno, introduzione, traduzione e cura di S. Palermo, Liguori, Napoli 2016.
Id., Seltsame Sterne starren zur Erde [2003] in Sonne auf halbem Weg, Kiepenheuer & Witsch, Köln 2006, pp. 811-1056.
Werfel, F., Die vierzig Tage des Musa Dagh [1933]; trad. it. di C. Baseggio, I quaranta giorni del Mussa Dagh [1935], a cura di C. Baseggio, E. Broseghini, Mondadori, Milano 2016.
Bibliografia secondaria
Akçam, T., The Young Turk’s Crime against Humanity. The Armenian Genocide and the Ethnic Cleansing in the Ottoman Empire, Princeton Univ. Press, Princeton.
Cemal, H., 1915. Ermeni Soykirimi, Istanbul, Everest Yayınları 2012; trad. it. di S. Baris, 1915. Il genocidio armeno, prefazione e cura di A. Aslan, ed. A. Guerini e associati, Milano 2015.
Codina Solà N., Verflochtene Welten. Transkulturalität in den Werken von Najat El Hachmi, Pius Alibek, Emine Sevgi Özdamar und Feridun Zaimoğlu, Königshausen & Neumann, Würzburg 2018.
Dayioglu-Yücel, Y., O. Gutjahr (Hrsg.), Emine Sevgi Özdamar, Text + Kritik. Zeitschrift für Literatur, München 2016.
Flores, M., Il genocidio degli Armeni, Il Mulino, Bologna 2015.
Giansoldati, F., La marcia senza ritorno. Il genocidio armeno, Salerno Ed., Roma 2015.
Höfer, K., Gespielte Träume und Traumspiele: Traumdarstellungen in der Dramatik des 20. und 21. Jahrhunderts, Wilhelm Fink, Paderborn 2019, pp. 129-174.
Hofmann, M., Jüdisches und armenisches Gedächtnis im deutsch-türkischen Diskurs: Zafer Senocaks Roman Gefährliche Verwandtschaft im Kontext in C. Meyer (Hrsg.), Kosmopolitische ‚Germanophonie‘, Königshausen & Neumann, Würzburg 2012, pp. 295-362.
Id., Deutsch-türkische Literaturwissenschaft (Studien zur deutsch-türkischen Literatur und Kultur),Königshausen & Neumann, Würzburg 2013.
Hofmann, M., I. Pohlmeier (Hrsg.), Deutsch-türkische und Türkische Literatur. Literaturwissenschaftliche und fachdidaktische Perspektiven, Königshausen & Neumann, Würzburg 2013.
Jonczyk, A., Die Identitätssuche im Emine Sevgi Özdamars Roman „Die Brücke vom Goldenen Horn“ und im Theaterstück „Perikızı. Ein Traumspiel“, in C. Gansel, M. Joch, M. Wolting (Hrsg.), Zwischen Erinnerung und Fremdheit, V&R unipress, Göttingen 2015, pp. 117-132.
Konuk, K., Genozid als transnationales historisches Erbe? Literatur im Kontext türkischer und deutscher Geschichte in C. Caduff, U. Vedder (Hrsg.), Gegenwart schreiben. Zur deutschsprachigen Literatur 2000-2015, Wilhelm Fink, Paderborn 2017, pp. 165-175.
Lützeler, P.M., T.W. Kniesche (Hrsg.), Emine Sevgi Özdamar, in GegenwartsLiteratur, 17/2018, Stauffenburg, Tübingen 2018.
Nienhaus, S., D. Mugnolo (a cura di), Questione armena e cultura europea, Claudio Grenzi editore, Foggia 2013.
Palermo, S., Migrazione e teatro in Emine Sevgi Özdamar, in “Testi e linguaggi”, 12/2018, pp. 239-253.
Schlößer, F., Drama und Theater nach 1989, Wehrhahn Verlag, Hannover 2013.
Weber, A., Das Lautwerden der Sprache: Özdamars ‚ Perikızı ‘ zwischen Fluch und Versöhnung, in P.M. Lützeler, T.W. Kniesche (Hrsg.), Emine Sevgi Özdamar, in GegenwartsLiteratur, 17/2018, Stauffenburg, Tübingen 2018, pp. 209-234.
1 Per i complessi problemi connessi alla valutazione del genocidio degli armeni si veda l’autorevole sintesi operata da Marcello Flores ne Il genocidio degli Armeni, Il Mulino, Bologna 2006.
2 Argentina, Armenia, Austria, Belgio, Canada, Cile, Cipro, Francia, Germania, Grecia, Italia, Lituania, Libano, Lussemburgo, Paesi Bassi, Polonia, Russia, Slovacchia, Svezia, Svizzera, Uruguay, Vaticano, Venezuela.
3 Il voto ha creato grandi tensioni in Germania per la forte presenza turca di prima, seconda e terza generazione. Angela Merkel e Sigmar Gabriel, i due allora principali esponenti del governo tedesco, non hanno votato a favore del riconoscimento del genocidio.
4 M. Flores, cit., p. 11.
5 Uno dei politici più noti fra i Verdi tedeschi, figlio di un immigrato turco membro dell’etnia circassa.
6 M. Flores, cit., pp. 15-19.
7 F. Giansoldati, La marcia senza ritorno. Il genocidio armeno, Salerno Ed., Roma 2015.
8 F. Çetin, Anneannem, Metis, Istanbul 2004; trad. it. di F. Beltrami, Heranush, mia nonna, con un’introduzione di A. Arslan, Alet, Padova 2007.
9 L’autrice, nipote della protagonista del libro, è venuta a conoscenza della verità solo intorno alla metà degli anni ’70, quando lei aveva circa 25 anni. Per tutta la vita la nonna, la signora Seher, ha continuato a pregare secondo i riti dell’Islam, come qualsiasi altra donna musulmana, ma custodendo il grande segreto di provenire da una famiglia armena cristiana, i Gadaryan, che era stata esiliata a Palu (Elazığ) nel 1913, quando lei andava ancora a scuola. La storia del libro parte proprio da qui. Il libro, che ha avuto un successo inimmaginabile in Turchia, ha infranto il tabù del silenzio: moltissime le lettere ricevute dall’autrice di testimonianze simili di sopravvissuti che avevano taciuto sino a quel momento o di parenti di sopravvissuti che per paura o per vergogna avevano taciuto. Il libro è stato tradotto in molte lingue, fra cui l’italiano.
10 Sulla base dello stesso articolo 301, tra l’altro, proprio dopo la condanna che era stata comminata a Dink, viene istituito il processo contro lo scrittore Orhan Pamuk. Pamuk, l’anno successivo (2006) riceverà il premio Nobel per la Letteratura.
11 A. G. Altınay, F. Çetin, Torunlar, Metis Yayincilik, Istanbul 2009.
12 A questi eventi si sono accompagnati numerosi convegni e seminari tenutisi negli ultimi dieci anni in cui studiosi armeni, turchi e di altre nazionalità si sono confrontati con passione nell’analisi e nell’approfondimento della storia del genocidio armeno. Sempre per l’ultimo decennio ricordiamo: a) la pubblicazione in turco nel 2012 del libro del giornalista Hasan Cemal, nipote di uno dei responsabili del genocidio, 1915. Ermeni Soykirimi (1915. Il genocidio armeno). Lo stesso Erdogan intervenne facendo licenziare Cemal. Il libro, che è stato un best seller, ha contribuito in modo determinante al crescente interesse e alla curiosità che la società turca sembra dimostrare nel voler conoscere gli eventi del 1915-16 riguardanti il popolo armeno; b) La presentazione nel 2014 al Festival di Venezia del film The Cut del regista turco Fatih Akin, che fa del genocidio armeno il suo centro e sulla sua memoria una riflessione profondamente contemporanea.
13 E.S. Özdamar, Perikızı. Ein Traumspiel / Perikızı. Un Sogno, introduzione, traduzione e cura di S. Palermo, Liguori, Napoli 2016.
14 Per una dettagliata scheda biobibliografica della scrittrice si rimanda al sito http://www.exilderfrauen.it/nuove_migrazioni_sdvita.php/ [ultima apertura 06.2019]. Le due recenti importanti raccolte di saggi, Text+Kritik (2016) e Gegenwartsliteratur (17/2018), interamente dedicate a questa autrice, oltre ai numerosi riconoscimenti a lei assegnati nel corso della sua intensa attività letteraria, costituiscono una vera e propria sua consacrazione nel panorama letterario tedesco contemporaneo.
15 Perikızı. Ein Traumspiel fa parte di un progetto teatrale internazionale “ruhr.2010 Odyssee Europa” che mira a far rivivere il mito di Ulisse ai giorni nostri, considerando Odisseo come un esempio di moderno cittadino europeo che, attraverso l’incontro con l’altro, si interroga sulla propria identità. Al progetto hanno partecipato altri cinque artisti europei: il regista e autore polacco Grzegorz Jarzyna, il drammaturgo tedesco Roland Schimmelpfennig, il commediografo irlandese Enda Walsh, il regista ungherese Péter Nádas e il drammaturgo austriaco Christoph Ransmayr. I sei testi teatrali sono stati rappresentati in due giorni (27-28 novembre 2010) in sei città diverse del Ruhrgebiet (Essen, Dortmund, Bochum, Moers, Mühlheim e Oberhausen), con 14 ore di teatro complessive, 77 attori coinvolti e il pubblico letteralmente “trasportato” da un luogo all’altro con vari mezzi (treno, bus, barca, auto).
16 E.S. Özdamar, Das Leben ist eine Karawanserei hat zwei Türen aus einer kam ich rein aus der anderen ging ich raus, [1992] in Sonne auf halbem Weg, Kiepenheuer & Witsch, Köln 2006. Per questo primo romanzo, ci sembra giusto ricordarlo, ha ricevuto l’Ingeborg Bachmann Preis nel 1991 e il Walter-Hasenclever-Preis nel 1993. Il libro è stato inoltre eletto ‘Miglior libro dell’anno’ nel 1994 dal “London Times Literary Supplement”.
17 Uno studio attento di questo famoso incipit da parte di Sevgi Aktas ha messo in relazione il riferimento dei 90.000 mantelli dei soldati con la battaglia di Sarikamis fra le truppe dell’impero russo e quello ottomano (dicembre 1914-gennaio 1915) che si risolse con una sconfitta devastante per le truppe ottomane. Si veda, a tal riguardo, K. Konuk, Genozid als transnationales historisches Erbe? Literatur im Kontext türkischer und deutscher Geschichte in C. Caduff, U. Vedder (Hrsg.), Gegenwart schreiben. Zur deutschsprachigen Literatur 2000-2015, Wilhelm Fink, Paderborn 2017, p. 172.
18 “PRIMA DI TUTTO ho visto i soldati, ero lì nella pancia di mia madre fra le sbarre di ghiaccio, volevo sorreggermi, afferrai il ghiaccio e scivolai, e atterrai sullo stesso posto, bussai alla parete, nessuno sentì. I soldati si tolsero i cappotti, che erano stati indossati fino ad allora da 90.000 soldati morti e non ancora morti. I cappotti puzzavano di 90.000 soldati morti e non ancora morti ed erano già appesi. Un soldato disse: “Fa’ posto alla donna incinta!”. [Le traduzioni in italiano presenti nel testo, quando non esplicitamente segnalato, sono ad opera di chi scrive].
19 E.S. Özdamar, Das Leben ist eine Karawanserei hat zwei Türen aus einer kam ich rein aus der anderen ging ich raus, cit., pp. 210-215. Sull’elenco dei morti come litania si veda, tra gli altri, F. Schlößer, Drama und Theater nach 1989, Wehrhahn Verlag, Hannover 2013, p. 193.
20 [Nonna] hai visto così tanti morti. Anche gli armeni. Talvolta ti sei svegliata urlando: “le ragazze armene, come si sono lanciate giù dal ponte!”. Hai portato da mangiare ai loro figli. Una vecchia armena viveva a casa tua. Aveva sempre del pane secco in tasca. “Perché?” le chiedesti. “Per non morir di fame se devo nascondermi di nuovo in una grotta”. E.S. Özdamar, Seltsame Sterne starren zur Erde [2003] in Sonne auf halbem Weg, Kiepenheuer & Witsch, Köln 2006, p. 1033.
21 Entrata in scena della nonna. Sotto braccio porta dei giornali ingialliti del tempo della Prima Guerra Mondiale in Perikızı. Un Sogno, cit., pp. 12 e 13.
22 Un giovane soldato turco della Prima Guerra Mondiale con la testa sotto il braccio attraversa il palcoscenico a cavalcioni del suo asino ed esce, Ivi, pp. 24 e 25.
23 Due giovani donne, le spose armene, compaiono in scena con un grembiule sul vestito come nel 1910 ed escono. Nonna perde improvvisamente molto sangue dal naso, Ivi, p. 18.
24 L’immagine e la descrizione delle donne armene che si gettano giù dal ponte sono una esplicita ripresa amplificata dell’immagine e della frase presenti in Seltsame Sterne starren zur Erde (si veda nota 20).
25 NONNA Abooo, Aboooo! Le spose armene, come si sono lanciate giù dal ponte! Le spose armene, come si sono lanciate giù dal ponte! L’inferno hanno visto con i loro giovani occhi, che volevano essere ciechi, il fuoco su questa terra, il grembiule ancora sopra il vestito, scalze, gli occhi grandi, le mani grandi, i piedi grandi per la marcia dei morti, i loro figli come scheletri davanti ai piedi, il fuoco, nel quale loro a lungo camminarono, camminarono e camminarono, scottava sette volte di più di quello dell’inferno. Ma dove andavano? Ma dove potevano andare? Verso quale speranza? Inseguite dai cattivi a cavallo, il grembiule ancora sopra il vestito” in Perikızı. Un Sogno, cit., p. 19.
26 L’intertestualità interna è un espediente artistico molto utilizzato da Özdamar. Si veda a tale proposito, tra gli altri, S. Palermo, Migrazione e teatro in Emine Sevgi Özdamar, in “Testi e linguaggi”, 12/2018, in part., pp. 247-249.
27 E.S. Özdamar, E. S., Die Brücke vom Goldenen Horn [1998] in Sonne auf halbem Weg, Kiepenheuer & Witsch, Köln 2006, pp. 437-810; trad. it. di U. Gandini, Il Ponte del Corno d’oro, Ponte alle Grazie, Firenze 2010.
28 NONNA ride […] E che ne so? Il primo aveva una voce così bella, andò in guerra, i grandi la chiamarono la guerra di Bismarck o era la guerra di Guglielmo? Ogni giorno le vedove si trascinavano per le stradine e urlavano: la poca luce nei nostri occhi è diventata ancora più fioca, sia maledetto l’uomo che ci mandò in esilio nelle braci dell’inferno. Sia maledetto l’imperatore, Enver Pasha, il più sanguinario, i cui denti di serpente hanno morso il petto di tutte le madri. In Perikızı. Un Sogno, cit., p. 23. Per la lettura del monologo nella sua interezza si rimanda a pp. 22-24 e a pp. 23-25 per la corrispondente traduzione in italiano.
29 Ivi, pp. 102 e p. 104. Il soldato della Prima Guerra Mondiale entra in scena con l’asino e le due spose armene. / soldato: […] Siamo morti sui campi di battaglia. / La vita è breve, / la morte è lunga nel cielo dell’inferno. / Morii poco dopo aver condiviso la mia sigaretta accesa / con otto uomini. All’epoca nessuno aveva capito perché / un imperatore tedesco si autoproclamasse protettore / dell’impero ottomano. / Golz, Falkenheim, Sanders, Enver Pasha, Talat Pasha, / tutti questi narcisisti, macchine da guerra pericolose, giocarono tutti insieme con la vita dei soldati, che le madri chiamavano Henning o Ahmed. Laggiù c’è un Henning morto, qua c’è un asino morto, là c’è un Ahmed morto. […]. (Ivi, pp. 103 e 105). Su chi fossero le figure storiche di Golz, Falkenheim, Sanders, Enver Pasha, Talat Pasha si rimanda alle note della edizione italiana dell’opera.
30 DIE ZWEI ARMENISCHEN BRÄUTE Wir dürfen nicht. Wir dürfen nicht sprechen. Schon ewig lange dürfen wir nicht sprechen. Ivi, p. 104. le due spose armene Non ci è permesso. Non ci è permesso di parlare. È già un’eternità che non ci è permesso di parlare. (Ivi, p. 105).
31 Ahinoi, voi [povere creature] perdute / non vedrete mai più la fiamma del focolare nella vostra casa. Derubate della vita, derubate già dell’ombra. / Nulla di voi, così vi comunichiamo, / tornerà al vostro focolare. / Vergini, supplicandovi, c’inginocchiamo davanti a voi. / Vediamo con questi occhi che vogliono essere ciechi / la vostra sventurata marcia dei morti / dalla quale non tornerete mai più indietro e mai più prometterete sotto alla nostra ombra / fedeltà eterna al vostro amato. / Si, alberi di fichi siamo / e il nostro sentimento sgorga in lacrime. / Un’ingiustizia inaudita vi accadrà, / di cui non potrete parlare neppure da morte. / Sopporterete, a lungo, troppo a lungo, / la vostra morte senza tomba, senza la musica funebre, / che si poserà appena sui vostri capelli morti. / Oh, in quale sventura state precipitando? / Un’ingiustizia accadrà, così velocemente, / che neanche le lacrime avranno il tempo di scendere / sulle vostre guance chiare. / Nei fiumi, nelle valli boschive, / sopra di voi una luna, che avrebbe voluto / trovare lei stessa la morte / piuttosto che illuminare la vostra. (Ivi, p. 107).
32 F. Werfel, Die vierzig Tage des Musa Dagh [1933]; trad. it. di C. Baseggio, I quaranta giorni del Musa Dagh [1935] a cura di C. Baseggio, E. Broseghini, Mondadori, Milano 2016. Sulla storia e divulgazione del romanzo si veda in particolare: S. Nienhaus, Franz Werfel: I quaranta giorni del Musa Dagh. La straordinaria fortuna di un romanzo in S. Nienhaus, D. Mugnolo (a cura di), Questione armena e cultura europea, Claudio Grenzi editore, Foggia 2013, pp. 151-172.
33 A. Arslan, La masseria delle allodole, Rizzoli, Milano 2016 [2004]. Di Arslan sull’argomento si ricordano anche La strada di Smirne, Rizzoli BUR, Milano, 2010 [2009] e Lettera a una ragazza in Turchia, Rizzoli, Milano 2016.
34 Perikızı. Un Sogno, cit. pp. 18-19.
35 Çetin, Heranush, mia nonna, cit., pp. 77-78.
36 Ivi, p. 78.
37 Ivi, p. 80.
38 E.S. Özdamar, Bitteres Wasser. Istanbul und die türkische Schwarzmeerküste in K. Raabe, M. Sznajderman (Hrsg.), Odessa Transfer. Nachrichten vom Schwarzen Meer, Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main 2009, pp. 40-49.
39 Molto forte è la sua partecipazione emotiva che la porterà tra l’altro a partecipare alla veglia in piazza a Kottbusser Tor a Berlino.